El Papa que paga sus cuentas. Leonardo Boff


El Papa que paga sus cuentas. Leonardo Boff.

Francisco: un Papa que presidirá en la caridad. Leonardo Boff


Francisco: un Papa que presidirá en la caridad
2013-03-17

La grave crisis moral que atraviesa todo el cuerpo institucional de la Iglesia ha hecho que el Cónclave eligiese a una persona con autoridad y coraje para hacer reformas profundas en la Curia romana y presidir la Iglesia en la caridad, y menos en la autoridad jurídica debilitando a las Iglesias locales. Fue lo que señaló Francisco en su primera alocución. Si sucede eso, será el Papa del tercer milenio e iniciará una nueva “dinastía” de papas venidos de las periferias de la cristiandad.


La figura del Papa es tal vez el mayor símbolo de lo sagrado en el mundo occidental. Las sociedades que por la secularización exiliaron lo sagrado, la falta de líderes referenciales y la ausencia de la figura del padre como aquel guía, orienta y muestra caminos, concentraron en la figura del Papa estos viejos anhelos humanos, que se podían leer en los rostros de los fieles que estaban en la plaza de San Pedro. En ese espíritu, rompió los protocolos, se sintió como uno más del pueblo, pagó la cuenta de su albergue, fue en un automóvil corriente a la Iglesia de Santa María Mayor y conserva su cruz de hierro.


Para los cristianos es irrenunciable el ministerio de Pedro como aquel que debe «confirmar a los hermanos y hermanas en la fe», según lo dispuesto por el Maestro. Roma, donde están enterrados Pedro y Pablo, fue desde el principio, la referencia de unidad, de ortodoxia y de celo por las demás Iglesias. Esta perspectiva la acogen también otras Iglesias no católicas. El problema es la forma como se ejerce esta función. El Papa León Magno (440-461), en el vacío de poder imperial, tuvo que asumir el gobierno de Roma para enfrentar a los hunos de Atila. Tomó el título de Papa y Sumo Pontífice, que eran del Emperador, e incorporó el estilo de poder imperial, monárquico y centralizado, con sus símbolos, vestimentas y estilo palaciego. Los textos referidos a Pedro, que en Jesús tenían sentido de servicio y de amor, se interpretaron al estilo romano como estricto poder jurídico. Todo culminó con Gregorio VII, que con su Dictatus Papae (la dictadura del Papa) se arrogó para sí los dos poderes, el religioso y el secular. Surgió la gran Institución Total, obstáculo a la libertad de los cristianos y al diálogo con el mundo globalizado.


Este ejercicio absolutista siempre fue cuestionado, sobre todo por los reformadores, pero nunca se suavizó. Como reconocía Juan Pablo II en su documento sobre ecumenismo, este estilo de ejercer la función de Pedro es el mayor obstáculo a la unión de las Iglesias y a su aceptación por los cristianos que vienen de la cultura moderna de los derechos y la democracia. No basta la espectacularización de la fe con grandes eventos para suplir esta deficiencia.

La actual forma monárquica deberá ser reconsiderada a la luz de la intención de Jesús. Será un papado pastoral y no profesoral. El Concilio Vaticano II estableció los instrumentos para ello: el sínodo de los obispos, hasta ahora sólo consultivo, cuando fue pensado para ser deliberativo. Se crearía un órgano consultivo que con el Papa gobernaría la Iglesia. Mediante el Concilio se creó la colegialidad de los obispos, es decir, las conferencias nacionales y continentales tendrían más autonomía para permitir el enraizamiento de la fe en las culturas locales, siempre en comunión con Roma. No es impensable que representantes del Pueblo de Dios, desde cardenales hasta mujeres pudiesen ayudar a elegir un Papa para toda la cristiandad. Es urgente una reforma de la Curia en la línea de la descentralización. Sin duda, lo hará el Papa Francisco. ¿Por qué el Secretariado de las religiones no cristianas no podrían trabajar en Asia? ¿El Dicasterio para la unidad de los cristianos en Ginebra, cerca del Consejo Mundial de las iglesias? ¿El de las misiones en alguna ciudad de África? ¿El de los derechos humanos y la justicia en América Latina?


La Iglesia Católica podría convertirse en una instancia no autoritaria de valores universales, de los derechos humanos, los de la Madre Tierra y de la naturaleza, contra la cultura de consumo y a favor de una sobriedad compartida. La cuestión central no es la Iglesia sino la humanidad y la civilización, que pueden desaparecer. ¿Cómo la Iglesia ayuda a preservarlas? Todo esto es posible y factible, sin renunciar en nada a la esencia de la fe cristiana. Es importante que el Papa Francisco sea un Juan XXIII del Tercer Mundo, un «Papa buono». Sólo así podrá rescatar su credibilidad perdida y ser un faro de espiritualidad y de esperanza para todos.
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Un esercisio differente del papato é possibile. Leonardo Boff


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Un esercizio differente del papato è possibile
16/03/2013

La grave crisi morale che attraversa tutto il corpo istituzionali della Chiesa ha fatto sì che il conclave eleggesse qualcuno che ha autorità e coraggio per fare profonde riforme nella Curia romana e inaugurare una forma di esercizio del potere papale che sia più conforme allo spirito di Gesù e al passo con la coscienza dell’umanità . Francesco è il suo nome.

La figura del papa è forse il più grande simbolo del Sacro nel mondo Occidentale. Le società che attraverso la secolarizzazione hanno esiliato il Sacro, in mancanza di leaders di riferimento e con la nostalgia della figura del padre come colui che orienta, crea fiducia e indica il sentiero, hanno concentrato nella figura del Papa queste ansie ancestrali degli umani che potevano essere lette sulle facce dei fedeli in piazza San Pietro. Per questo è importante analizzare il tipo di esercizio del potere che il Papa Francesco eserciterà. Nella sua prima allocuzione ha detto che lui “presiederà nella carità” e non come quelli del passato che avevano potere giudiziale su tutte le chiese. Per i cristiani è irrinunciabile il ministero di Pietro come colui che deve “confermare i fratelli e le sorelle nella fede” secondo il mandato del Maestro. Roma dove stanno sepolti Pietro e Paolo, è stata fin dai primordi, per le altre chiese, il riferimento per l’unità, per l’ortodossia e per lo zelo.

Questa prospettiva è accolta pure dalle rimanenti chiese non cattoliche. La questione è tutta su come si esercita la tale funzione. Il papa Leone Magno (440-461), nel vuoto del potere imperiale, dovette assumere la governance di Roma. Prese il titolo di Papa e di Sommo Pontefice che erano dell’imperatore, incorporò lo stile imperiale del potere monarchico assoluto e centralizzato, con i suoi simboli, paramenti e stile di palazzo. I testi attinenti a Pietro che in Gesù avevano un senso di servizio e di primato di amore furono interpretati come stretto potere giuridico. Tutto culminò con Gregorio VII che con il suo “Dictatus papae” (la dittatura del Papa) si arrogò i due poteri, quello religioso e quello della società civile. Nacque una grande istituzione Totale ostacolo al cammino della libertà dei cristiani e della società. A partire da qui il Papa emerge come un monarca assoluto con la pienezza di tutti poteri come il canone 331 esprime chiaramente. Solleva la pretesa di subordinare al suo potere tutte le chiese.

Quest’esercizio assolutista è stato sempre messo in questione, specialmente dai Riformatori. Ma non si è mai addolcito. Come riconosceva Giovanni Paolo II, questo stile di esercitare la funzione di Pietro è il maggior ostacolo all’ecumenismo e all’accettazione da parte dei cristiani che vengono dalla cultura moderna dei diritti e della democrazia. Per supplire a questa mancanza, gli ultimi due papi hanno organizzato una spettacolarizzazione della fede, con viaggi e eventi di massa come quello degli giovani da realizzarsi a Rio de Janeiro.

Questa forma monarchica e assolutista rappresenta una deviazione dall’intenzione originaria di Gesù e adesso con Francesco deve essere ripensato alla luce dell’intenzione di Gesù. Sarà un papato pastorale e di servizio alla carità e all’unità e non più un papato del potere giuridico assolutista. Il concilio Vaticano II ha stabilito igli strumenti per una riformulazione nel governo della Chiesa: il sinodo dei vescovi, svuotato e fatto finora strumento consultivo, mentre invece era stato pensato come strumento deliberativo. Nascerebbe un organo esecutivo che con il Papa governerebbe la Chiesa. È stata creata dal concilio la collegialità dei vescovi, vale a dire, le conferenze continentali e nazionali guadagnerebbero più autonomia per permettere un radicamento della fede nelle culture locali sempre in comunione con Roma. Rappresentanti del popolo di Dio, cardinali e vescovi, clero e laici e perfino donne aiuterebbero a eleggere un papa per tutta la cristianità. Si fa urgente una riforma della Curia nella linea del decentramento. Certamente quello che farà Papa Francesco. Perché il Segretariato per le religioni non cristiane non potrebbe funzionare in Asia? il dicastero dell’unità dei cristiani a Ginevra, vicino al Consiglio Mondiale delle chiese? Quello delle missioni, in qualche città dell’Africa? Quello dei diritti umani e della giustizia in America Latina?

La Chiesa cattolica potrebbe trasformarsi in una istanza non autoritaria di valori universali, della cura per la Terra e per la vita sotto grave minaccia, contro la cultura del consumo, in favore di una sobrietà condivisa, enfatizzando la solidarietà e la cooperazione a partire dagli ultimi contro lo stress della concorrenza. La questione centrale non è più la Chiesa ma l’umanità e la civiltà che possono scomparire. In che modo la Chiesa aiuta nella loro preservazione?Tutto questo è possibile e realizzabile senza rinunciare in nulla alla sostanza del fede cristiana. Importa che il Papa Francesco sia un Giovanni XXIII del terzo mondo, un “Papa buono”. Solo così potrà riscattare la credibilità perduta e essere un faro di spiritualità e di speranza per tutti.

El Papa Francisco llamado a restaurar la Iglesia. Leonardo Boff


El Papa Francisco llamado a restaurar la Iglesia. Leonardo Boff.

El Papa Francisco llamado a restaurar la Iglesia. Leonardo Boff


El Papa Francisco llamado a restaurar la Iglesia
2013-03-15

En las redes sociales había anunciado que el futuro Papa se llamaría Francisco. Y no me equivoqué. ¿Por qué Francisco? Porque San Francisco comenzó su conversión al oír al Crucifijo de la capilla de San Damián decirle: «Francisco, ve y restaura mi casa, mira que está en ruinas» (San Buenaventura, Leyenda Mayor II, 1).


Francisco tomó al pie de la letra estas palabras y reconstruyó la iglesita de la Porciúncula, en Asís, que aún existe en el interior de una inmensa catedral. Después se dio cuenta de que era algo espiritual restaurar la «Iglesia que Cristo rescató con su sangre» (ibid.). Fue entonces cuando comenzó su movimiento de renovación de la Iglesia, presidida por el Papa más poderoso de la historia, Inocencio III. Comenzó a vivir con los leprosos y del brazo de uno de ellos iba por los caminos predicando el evangelio en lengua popular y no en latín.

Es bueno saber que Francisco nunca fue sacerdote sino laico solamente. Sólo al final de su vida, cuando los Papas prohibieron a los laicos predicar, aceptó ser diácono a condición de no recibir ningún tipo de remuneración por el cargo.

¿Por qué el cardenal Jorge Mario Bergoglio ha elegido el nombre de Francisco? Creo que ha sido porque se dio cuenta de que la Iglesia está en ruinas por la desmoralización debida a los diversos escándalos que han afectado a lo más precioso que ella tenía: la moral y la credibilidad.

Francisco no es un nombre, es un proyecto de la Iglesia, pobre, sencilla, evangélica y desprovista de todo poder. Es una Iglesia que anda por los caminos junto con los últimos, que crea las primeras comunidades de hermanos que rezan el breviario bajo los árboles con los pajaritos. Es una Iglesia ecológica que llama a todos los seres con las dulces palabras de «hermanos y hermanas». Francisco fue obediente a la Iglesia y a los papas y al mismo tiempo siguió su propio camino con el evangelio de la pobreza en la mano. Entonces escribió el teólogo Joseph Ratzinger: «El no de Francisco a ese tipo imperial de Iglesia no podía ser más radical, es lo que podríamos llamar una protesta profética» (en Zeit Jesu, Herder 1970, 269). Francisco no habla, simplemente inaugura lo nuevo.

Creo que el Papa Francisco tiene en mente una iglesia fuera de los palacios y de los símbolos del poder. Lo mostró al aparecer en público. Normalmente los Papas y Ratzinger principalmente ponían sobre los hombros la muceta, esa capita corta bordada en oro que sólo los emperadores podían usar. El Papa Francisco llegó sólo vestido de blanco. En su discurso inaugural se destacan tres puntos, de gran significado simbólico.

El primero: dijo que quiere «presidir en la caridad», algo que se pedía desde la Reforma y los mejores teólogos del ecumenismo. El Papa no debe presidir como un monarca absoluto, revestido de poder sagrado, como prevé la ley canónica. Según Jesús, debe presidir en el amor y fortalecer la fe de los hermanos y hermanas.

El segundo: dio centralidad al Pueblo de Dios, como destaca el Concilio Vaticano II, pero dejado de lado por los dos papas anteriores en favor de la jerarquía. El Papa Francisco pide humildemente al pueblo de Dios que rece por él y lo bendiga. Sólo después él bendecirá al pueblo de Dios. Esto significa que él está allí para servir y no para ser servido. Pide que le ayuden a construir un camino juntos y clama por fraternidad para toda la humanidad, donde los seres humanos no se reconocen como hermanos y hermanas sino atados a las fuerzas de la economía.

Por último, evitó todo espectáculo de la figura del Papa. No extendió ambos brazos para saludar a la gente. Se quedó inmóvil, serio y sobrio, yo diría, casi asustado. Solamente se veía una figura blanca que saludaba con cariño a la gente. Pero irradiaba paz y confianza. Mostró humor hablando sin la retórica oficialista, como un pastor habla a sus fieles.
Vale la pena mencionar que es un Papa que viene de Gran Sur, donde están los más pobres de la humanidad y donde vive el 60% de los católicos. Con su experiencia como pastor, con una nueva visión de las cosas, desde abajo, podrá reformar la Curia, descentralizar la administración y dar un rostro nuevo y creíble a la Iglesia.
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El colapso de su teología: ¿razón mayor de la renuncia de Benedicto XVI?. Leonardo Boff


El colapso de su teología: 

¿razón mayor de la renuncia de Benedicto XVI?

2013-03-09

  Siempre es arriesgado nombrar a un teólogo para la función de papa. Él puede hacer de su teología particular la teología universal de la Iglesia e imponerla a todo el mundo. Sospecho que este ha sido el caso de Benedicto XVI, primero como cardenal, nombrado Prefecto de la Congregación para la Doctrina de la Fe (ex-Inquisición) y después como Papa. Tal hecho no goza de legitimidad y se transforma en fuente de condenaciones injustas. Efectivamente condenó a más de cien teólogos y teólogas por no encuadrarse en su lectura teológica de la Iglesia y del mundo.

Razones de salud y sentimiento de impotencia frente a la gravedad de la crisis en la Iglesia lo llevaron a renunciar. Pero no solo eso. El texto de su renuncia habla de la “disminución de vigor del cuerpo y del espíritu” y de “su incapacidad” para enfrentar las cuestiones que dificultaban el ejercicio de su misión. Detrás de estas palabras, estimo que se oculta la razón más profunda de su renuncia: la percepción del colapso de su teología y del fracaso del modelo de Iglesia que quiso implementar. Una monarquía absolutista no es tan absoluta hasta el punto de vencer la inercia de envejecidas estructuras curiales.

Las tesis centrales de su teología siempre fueron problemáticas para la comunidad teológica. Tres de ellas acabaron siendo refutadas por los hechos: el concepto de Iglesia como un «pequeño mundo reconciliado»; que la Ciudad de los Hombres sólo adquiere valor delante de Dios pasando por la mediación de la Ciudad de Dios, y el famoso «subsistit» que significa: sólo en la Iglesia católica subsiste la verdadera Iglesia de Cristo, todas las otras Iglesias no se pueden llamar Iglesias. Esta concepción estrecha de una inteligencia aguda pero rehén de sí misma, no tenía la suficiente fuerza intrínseca ni la adhesión necesaria para ser implementada. ¿Benedicto habría reconocido el colapso y coherentemente renunciado? Hay razones para esta hipótesis.

El Papa emérito tuvo en san Agustín a su maestro e inspirador, de hecho fue objeto de algunas conversaciones personales con él. De Agustín asumió la perspectiva de base, comenzando por su esdrújula teoría del pecado original (se transmite por el acto sexual de la procreación). Esto hace que toda la humanidad sea una «masa condenada». Pero dentro de ella, Dios por Cristo instauró una célula salvadora, representada por la Iglesia. Ella es «un pequeño mundo reconciliado» que tiene la representación (Vertretung) del resto de la humanidad perdida. No es necesario que tenga muchos miembros. Bastan pocos, siempre que sean puros y santos. Ratzinger incorporó esta visión. La completó con la siguiente reflexión: la Iglesia está constituida por Cristo y los doce apóstoles. Por eso es apostólica. Es solo este pequeño grupo. Excluye a los discípulos, a las mujeres y las masas que seguían a Jesús. Para él no cuentan. Son alcanzadas por la representación (Vertretung) que «el pequeño mundo reconciliado» asume. Este modelo eclesiológico no tiene en cuenta el vasto mundo globalizado. Quiso entonces hacer de Europa «el mundo reconciliado» para reconquistar la humanidad. Fracasó porque el proyecto no fue asumido por nadie y hasta fue puesto en ridículo.

La segunda tesis está tomada también de san Agustín y de su lectura de la historia: la confrontación entre la Ciudad de Dios y la Ciudad de los Hombres. En la Ciudad de Dios está la gracia y la salvación: ella es el único camino que conduce a la salvación. La Ciudad de los Hombres se construye por el esfuerzo humano. Pero, como ya está contaminado todo su humanismo y sus otros valores, no consiguen salvarse porque no han pasado por la mediación de la Ciudad de Dios (Iglesia). Por eso ella está plagada de relativismos. Consecuentemente el cardenal Ratzinger condena duramente la teología de la liberación, porque ésta buscaba la liberación por los mismos pobres, hechos sujetos autónomos de su historia. Pero como no se articula con la Ciudad de Dios y su célula, la Iglesia, es insuficiente y vana.

La tercera es una interpretación muy personal suya que da del Concilio Vaticano II cuando habla de la Iglesia de Cristo. La primera redacción conciliar decía que la Iglesia católica es la Iglesia de Cristo. Las discusiones buscando el ecumenismo, substituyeron es por subsiste para dar lugar a que otras Iglesias cristianas, a su modo, realizasen también la Iglesia de Cristo. Esta interpretación sustentada en mi tesis doctoral mereció una explícita condena del cardenal Ratzinger en su famoso documento Dominus Jesus (2000), donde afirma que subsiste viene de «subsistencia» que sólo puede ser una y se da en la Iglesia católica. Las demás «iglesias» poseen «solamente» elementos eclesiales. Este «solamente» es un añadido arbitrario que hace al texto oficial del Concilio. Tanto algunos notables teólogos como yo mismo mostramos que este sentido esencialista no existe en latín. El sentido es siempre concreto: «conseguir cuerpo», «realizarse objetivamente». Este era el «sensus Patrum» el sentido de los Padres conciliares.

Estas tres tesis centrales han sido refutadas por los hechos: dentro del «pequeño mundo reconciliado» hay demasiados pedófilos hasta entre los cardenales, y ladrones de dineros del Banco Vaticano. La segunda, que la Ciudad de los Hombres no tiene densidad salvadora delante de Dios, se construye sobre un error al restringir la acción de la Ciudad de Dios solamente al campo de la Iglesia. Dentro de la Ciudad de los Hombres se encuentra también la Ciudad de Dios, no bajo forma de conciencia religiosa sino bajo forma de ética y de valores humanitarios. El Concilio Vaticano II garantizó la autonomía de las realidades terrestres (otro nombre para secularización) que tiene valor independientemente de la Iglesia. Cuentan para Dios. La Ciudad de Dios (Iglesia) se realiza por la fe explícita, por la celebración y por los sacramentos. La Ciudad de los Hombres, por la ética y por la política.

La tercera, que solamente la Iglesia Católica es la única y exclusiva Iglesia de Cristo y, todavía más, que fuera de ella no hay salvación, tesis medieval resucitada por el cardenal Ratzinger, fue simplemente ignorada como ofensiva a las demás Iglesias. En vez de «fuera de la Iglesia no hay salvación», se introdujo en el discurso de los papas y de los teólogos «la oferta universal de salvación a todos los seres humanos y al mundo».

Alimento la seria sospecha de que tal fracaso y colapso de su edificio teológico, le quitó “el necesario vigor del cuerpo y del espíritu” hasta el punto de, como confiesa, de “sentirse incapaz de ejercer su ministerio”. Cautivo de su propia teología, no le quedó otra alternativa sino honestamente renunciar.

Contra el olvido del Espíritu Santo. Leonardo Boff


Contra el olvido del Espíritu Santo

2013-03-08

  En el artículo anterior nos esforzábamos por rescatar la dimensión del “espíritu” muy ahogado en la cultura materialista y consumista de la modernidad. Ahora queremos rescatar la figura del Espíritu Santo, siempre al margen u olvidada en la Iglesia latina. Como es una Iglesia de poder, convive mal con el carisma, propio del Espíritu Santo. Él es la fantasía de Dios y el motor del cambio, todo lo que la vieja institución jerárquica no desea. Pero Él está volviendo.

El Concilio Vaticano II afirma enfáticamente: «El Espíritu de Dios dirige el curso de la historia con admirable providencia, renueva la faz de la Tierra y está presente en la evolución» (Gaudium et Spes, 26/281). El Espíritu está siempre en acción. Pero aparece con mayor intensidad cuando se producen rupturas instauradoras de lo nuevo. Cuatro rupturas, cercanas a nosotros, merecen ser mencionadas: la realización del Concilio Ecuménico Vaticano II (1962-1965), la Conferencia Episcopal de obispos latinoamericanos en Medellín (1969), el surgimiento de la Iglesia de la Liberación, y la Renovación Carismática Católica.

Por el Vaticano II (1962-1965), la Iglesia acompasó su paso con el del mundo moderno y sus libertades. Especialmente estableció un diálogo con la tecnociencia, con el mundo del trabajo, con la secularización, con el ecumenismo, con otras religiones y con los derechos humanos fundamentales. El Espíritu rejuveneció con aire nuevo el crepuscular edificio de la Iglesia.

En Medellín (1968) se puso a caminar con el submundo de la pobreza y de la miseria que caracterizaba y sigue caracterizando al continente latinoamericano. En la fuerza del Espíritu Santo, los pastores latinoamericanos hicieron una opción por los pobres y contra la pobreza y decidieron llevar a cabo una práctica pastoral que fuese de liberación integral: liberación no sólo de nuestros pecados personales y colectivos, sino liberación del pecado de opresión, del empobrecimiento de las masas, de la discriminación de los pueblos indígenas, del desprecio por los afrodescendientes y del pecado de la dominación patriarcal de los hombres sobre las mujeres desde el Neolítico.

De esta práctica nació la Iglesia de la liberación. Ella muestra su cara en la apropiación de la lectura de la Biblia por el pueblo, en la nueva forma de ser Iglesia de las comunidades eclesiales de base, en las diferentes pastorales sociales (de los indígenas, los afrodescendientes, de la tierra, la salud, los niños y otras) y en su reflexión correspondiente que es la Teología de la Liberación.

Esta Iglesia de la liberación creó cristianos comprometidos políticamente del lado de los oprimidos y en contra de las dictaduras militares, que sufrieron persecuciones, encarcelamientos, torturas y asesinatos. Es posiblemente una de las pocas Iglesias que puede contar con tantos mártires, como la hermana Dorothy Stang e incluso obispos como Angelleli en Argentina y Oscar Arnulfo Romero en El Salvador.

La cuarta irrupción fue el surgimiento de la Renovación Carismática Católica en Estados Unidos desde 1967 y en América Latina desde los años 70 del siglo XX. Ella trajo de vuelta la centralidad de la oración, la espiritualidad, la vivencia de los carismas del Espíritu. Se crearon comunidades de oración, de cultivo de los dones del Espíritu Santo y de asistencia a los pobres y enfermos. Esta renovación ayudó a superar la rigidez de la organización eclesial, la frialdad de las doctrinas y rompió el monopolio de la Palabra, en poder del clero, abriendo espacio a la libre expresión de los creyentes.

Estos cuatro eventos sólo se evalúan bien teológicamente cuando se ponen bajo la óptica del Espíritu Santo. Él irrumpe siempre en la historia y de forma innovadora en la Iglesia, que entonces se hace generadora de esperanza y de alegría de vivir la fe.

Hoy en día vivimos en la, tal vez, mayor crisis de la historia humana. Es su mayor crisis, porque puede ser terminal. En efecto, nos hemos dado los instrumentos de auto-destrucción. Hemos construido una máquina de muerte que puede matarnos a todos y liquidar toda nuestra civilización tan costosamente construida a lo largo de miles y miles de años de trabajo creativo. Y con nosotros podrá morir gran parte de la biodiversidad. Si esta tragedia ocurre, la Tierra continuará su camino, cubierta de cadáveres, devastada y empobrecida, pero sin nosotros.

Por esta razón, decimos que nuestra tecnología de muerte ha abierto una nueva era geológica: el Antropoceno. Es decir, el ser humano se está mostrando como el gran meteorito rasante amenazador de la vida. Él puede preferir autodestruirse a sí mismo y dañar perversamente a la Tierra viva, Gaia, a cambiar su estilo de vida y su relación con la naturaleza y con la Madre Tierra. Como una vez en Palestina los judíos prefirieron Barrabás a Jesús, los enemigos actuales de la vida pueden preferir Herodes a los niños inocentes. Se mostrará en realidad como el Satanás de la Tierra en lugar de ser el ángel guardián de la creación.

En ese momento invocamos, suplicamos y gritamos la oración litúrgica de la fiesta de Pentecostés: Veni, Sancte Spiritus et emite coelitus, Lucis tuae radio: «Ven Espíritu Santo y envía del cielo un rayo de tu luz».

Sin la vuelta del Espíritu, corremos el riesgo de que la crisis deje de ser una oportunidad de acrisolamiento y degenere en una tragedia sin retorno. En las comunidades eclesiales se canta: «Ven Espíritu Santo y renueva la faz de la Tierra».

Contra el olvido del Espíritu Santo. Leonardo Boff


Contra el olvido del Espíritu Santo

06/03/2013

En un artículo anterior nos esforzábamos por rescatar la dimensión del “espíritu” muy ahogado en la cultura materialista y consumista de la modernidad. Ahora queremos rescatar la figura del Espíritu Santo, siempre al margen u olvidada en la Iglesia latina. Como es una Iglesia de poder, convive mal con el carisma, propio del Espíritu Santo. Él es la fantasía de Dios y el motor del cambio, todo lo que la vieja institución jerárquica no desea. Pero Él está volviendo.

El Concilio Vaticano II afirma enfáticamente: «El Espíritu de Dios dirige el curso de la historia con admirable providencia, renueva la faz de la Tierra y está presente en la evolución» (Gaudium et Spes, 26/281). El Espíritu está siempre en acción. Pero aparece con mayor intensidad cuando se producen rupturas instauradoras de lo nuevo. Cuatro rupturas, cercanas a nosotros, merecen ser mencionadas: la realización del Concilio Ecuménico Vaticano II (1962-1965), la Conferencia Episcopal de obispos latinoamericanos en Medellín (1969), el surgimiento de la Iglesia de la Liberación, y la Renovación Carismática Católica.

Por el Vaticano II (1962-1965), la Iglesia acompasó su paso con el del mundo moderno y sus libertades. Especialmente estableció un diálogo con la tecnociencia, con el mundo del trabajo, con la secularización, con el ecumenismo, con otras religiones y con los derechos humanos fundamentales. El Espíritu rejuveneció con aire nuevo el crepuscular edificio de la Iglesia.

En Medellín (1968) se puso a caminar con el submundo de la pobreza y de la miseria que caracterizaba y sigue caracterizando al continente latinoamericano.  En la fuerza del Espíritu Santo, los pastores latinoamericanos hicieron una opción por los pobres y contra la pobreza y decidieron llevar a cabo una práctica pastoral que fuese de liberación integral: liberación no sólo de nuestros pecados personales y colectivos, sino liberación del pecado de opresión, del empobrecimiento de las masas, de la discriminación de los pueblos indígenas, del desprecio por los afrodescendientes y del pecado de la dominación patriarcal de los hombres sobre las mujeres desde el Neolítico.

De esta práctica nació la Iglesia de la liberación. Ella muestra su cara en la apropiación de la lectura de la Biblia por el pueblo, en la nueva forma de ser Iglesia de las comunidades eclesiales de base, en las diferentes pastorales sociales (de los indígenas, los afrodescendientes, de la tierra, la salud, los niños y otras) y en su reflexión correspondiente que es la Teología de la Liberación.

Esta Iglesia de la liberación creó cristianos comprometidos políticamente del lado de los oprimidos y en contra de las dictaduras militares, que sufrieron persecuciones, encarcelamientos, torturas y asesinatos. Es posiblemente una de las pocas Iglesias que puede contar con tantos mártires, como la hermana Dorothy Stang e incluso obispos como Angelleli en Argentina y Oscar Arnulfo Romero en El Salvador.

La cuarta irrupción fue el surgimiento de la Renovación Carismática Católica en Estados Unidos desde 1967 y en América Latina desde los años 70 del siglo XX. Ella trajo de vuelta la centralidad de la oración, la espiritualidad, la vivencia de los carismas del Espíritu. Se crearon comunidades de oración, de cultivo de los dones del Espíritu Santo y de asistencia a los pobres y enfermos. Esta renovación ayudó a superar la rigidez de la organización eclesial, la frialdad de las doctrinas y rompió el monopolio de la Palabra, en poder del clero, abriendo espacio a la libre expresión de los creyentes.

Estos cuatro eventos sólo se evalúan bien teológicamente cuando se ponen bajo la óptica del Espíritu Santo. Él irrumpe siempre en la historia y de forma innovadora en la Iglesia, que entonces se hace generadora de esperanza y de alegría de vivir la fe.

Hoy en día vivimos en la, tal vez, mayor crisis de la historia humana. Es su mayor crisis, porque puede ser terminal. En efecto, nos hemos dado los instrumentos de auto-destrucción. Hemos construido una máquina de muerte que puede matarnos a todos y liquidar toda nuestra civilización tan costosamente construida a lo largo de miles y miles de años de trabajo creativo. Y con nosotros podrá morir gran parte de la biodiversidad. Si esta tragedia ocurre, la Tierra continuará su camino, cubierta de cadáveres, devastada y empobrecida, pero sin nosotros.

Por esta razón, decimos que nuestra tecnología de muerte ha abierto una nueva era geológica: el Antropoceno. Es decir, el ser humano se está mostrando como el gran meteorito rasante amenazador de la vida. Él puede preferir autodestruirse a sí mismo y dañar perversamente a la Tierra viva, Gaia, a cambiar su estilo de vida y su relación con la naturaleza y con la Madre Tierra. Como una vez en Palestina los judíos prefirieron Barrabás a Jesús, los enemigos actuales de la vida pueden preferir Herodes a los niños inocentes. Se mostrará en realidad como el Satanás de la Tierra en lugar de ser el ángel guardián de la creación.

En ese momento invocamos, suplicamos y gritamos la oración litúrgica de la fiesta de  Pentecostés: Veni, Sancte Spiritus et emite coelitus, Lucis tuae radio: «Ven Espíritu Santo y envía del cielo un rayo de tu luz».

Sin la vuelta del Espíritu, corremos el riesgo de que la crisis deje de ser una oportunidad de acrisolamiento y degenere en una tragedia sin retorno. En las comunidades eclesiales se canta: «Ven Espíritu Santo y renueva la faz de la Tierra».

Traducción de María José Gavito Milano

Quantos Papas Renunciaram: relato de um historiador. Una historia de renúncias papais. Artículo de John W. O’Malley


(Tomado del sitio web de Leonardo Boff.

(www.leonardoboff.wordpress.com )

Quantos Papas renunciaram: relato de um historiador

05/03/2013

Uma história de renúncias papais. Artigo de John W. O’Malley

Nos dias atuais em que muito se discute sobre o significado da renúncia de Bento XVI é bom que os cristãos conheçam um pouco melhor a tumultuada história dos Papas e de quantos renunciaram na história. Isso ajuda a aceitar a dimensão humana e até demasiadamente humana do Papado, evitar a papolatria e ter uma visão menos ideológica e mistificadora de como ocorrem od processos de escolha de um novo Papa pelo Conclave dos Cardeais. O texto é de um sério historiador jesuita nortemericano. LBoff

Quantos papas renunciaram? Essas questões não são tão fáceis de responder como parecem.

A opinião é do jesuíta norte-americano John W. O’Malley, professor de teologia da Georgetown University e autor de What Happened at Vatican II [O que aconteceu no Vaticano II]. O artigo foi publicado na revista America, dos jesuítas dos EUA, 11-03-2013. A tradução é de Moisés Sbardelotto.

Eis o texto.

renúncia do Papa Bento XVI no dia 28 de fevereiro levantou muitas perguntas sobre esse ato histórico. Quem foi o último papa a abandonar o seu ofício? Quantos papas renunciaram? Essas questões não são tão fáceis de responder como parecem.

O cânone 332 especifica que, para ser válida, uma renúncia deve ser “livre” – não coagido. Convencionalmente, descrevem-se nove ou dez papas como renunciatários. Esse número seria maior se incluíssemos os chamados antipapas, alguns dos quais, como o primeiro João XXIII (1410-1415), podem muito bem ter sido os legítimos requerentes. Não importa quão longa ou quão curta seja a lista, poucos renunciaram “livremente” no total. No entanto, quer livres ou forçadas, as renúncias parecem ter funcionado pelo bem da Igreja.

Papa Celestino V (1294) é o melhor candidato e também o mais famoso papa que renunciou livremente. Dante o colocou no inferno por essa “grande recusa”, isto é, por se esquivar da responsabilidade à qual Deus o escolhera (Inferno 3, 61), mas a maioria das pessoas pensa que, ao renunciar, Celestino V ”fez bem”, como afirmou um cronista da época.

A sua eleição foi incomum, para dizer o mínimo. Depois de um conclave que durou mais de dois anos, os cardeais, em um compromisso desesperado, escolheram Celestino V, um eremita piedoso. Se o papa não podia vir dos seus próprios números, os cardeais pareciam pensar, a melhor coisa era eleger uma pessoa santa que seria guiada pelo Espírito.Celestino V, que tinha seus 80 anos quando foi eleito, também era mal alfabetizado em latim e estava completamente esmagado pelos seus deveres. Em sua ingenuidade, ele se tornou uma peça involuntária nas mãos do rei Carlos II deAnjou. Eleito no dia 5 de julho, renunciou no dia 13 de dezembro. Ele foi papa, portanto, por cerca de cinco meses.

Será que ele renunciou livremente? Não há provas concretas em contrário. Ele explicou a sua ação dizendo que estava doente, que não tinha o conhecimento e a experiência necessários e que queria se retirar para a sua ermida. Contudo, espalharam-se rumores de que o homem que o sucedeu como Papa Bonifácio VIII usara uma influência indevida sobreCelestino V para persuadi-lo a renunciar, de modo que o caminho ficasse aberto à sua própria eleição. Quer esses rumores sejam verdadeiros ou falsos, os inimigos de Bonifácio VIII lançaram dúvidas incessantemente sobre a legitimidade do seu pontificado por causa do evento incomum e supostamente sem precedentes da renúncia. Como disse o arqui-inimigo de Bonifácio VIII, o rei Filipe IV da França, em uma mordaz nota de acusação, que incluía quase todos pecados e heresias imagináveis, “ele é acusado publicamente de tratar desumanamente o seu antecessor Celestino V – um homem de santa memória e de santa vida que talvez não soubesse que não poderia renunciar e que, portanto, de acordo com Bonifácio VIII, não poderia entrar legitimamente em sua Sé”.

Ponciano (230-235) é talvez o melhor candidato, em seguida, para um papa que renunciou livremente. Na perseguição do imperador Maximus Thrax, Ponciano foi deportado para as minas da Sardenha. Como tal deportação era o equivalente a uma sentença de morte no trabalho duro, ele abriu mão do papado no dia 28 de setembro de 235, a primeira data precisamente registrada da história papal. Ele fez isso a fim de que a Igreja de Roma pudesse escolher um sucessor e, assim, não ficaria sem um líder. Foi um ato nobre dele e, tecnicamente falando, livre, mas Ponciano não teria renunciado se a sua capacidade de governar não tivesse sido tirada dele à força.

O caso de Martinho I (649-653) é semelhante – e diferente. Ele se opôs fortemente à heresia monotelita (Cristo tem apenas uma vontade), que, por razões políticas, o imperador Constâncio II estava promovendo. Seguidores do imperador aproveitaram que o papa estava em Roma e levaram-no, doente e indefeso, a Constantinopla, para ser julgado por traição. Martinho foi condenado, açoitado publicamente e condenado à morte, embora a sentença fora trocada pelo banimento. Martinho queixou-se amargamente por ter sido abandonado pela Igreja romana, que não só não fez nada para ajudá-lo em seus problemas, mas, contra o seu desejo expresso, também elegeu um sucessor enquanto ele ainda estava vivo. Martinho, no entanto, concordou com o que havia sido feito e rezou a Deus para que protegesse o novo pastor da Igreja de Roma das heresia e dos inimigos.

Outras renúncias? Clemente I (92?-101), uma vez na lista, foi retirado por falta de provas convincentes. Para Marcelino(296-304), a prova, embora talvez não totalmente confiável, é melhor. Na perseguição do imperador Diocleciano, Marcelino supostamente fez sacrifícios aos ídolos, a fim de salvar a sua vida. De acordo com alguns relatos, ele foi formalmente deposto, mas, em todo caso, ao cometer esse ato de apostasia, ele foi automaticamente desqualificado do sacerdócio, o que deixou a Igreja romana sem um chefe. O que quer que tenha acontecido, certamente não foi uma renúncia “livre”. Bento V (964), que talvez deveria ser considerado mais como um antipapa do que o genuíno, reinou por apenas um mês antes de ser deposto por um sínodo instigado pelo imperador Otto I. Dificilmente livre.

Bento IX (1032-1045) é um caso curioso. Ele era sobrinho tanto do Papa Bento VIII quanto do Papa João XIX. Para manter o papado dentro da família, seu pai subornou os eleitores em favor do futuro Bento IX, um leigo ainda na casa dos seus 20 anos. Nos próximos 13 anos, Bento IX despertou hostilidade pelas suas maquinações políticas e provocou escândalo pela sua vida abertamente dissoluta. Por volta de 1045, a sua situação não só se tornou instável, mas, segundo alguns, ele também queria se casar. Naquele ano, ele renunciou em favor do seu padrinho, mas não antes de se assegurar por parte dele uma grande soma de dinheiro. Decisão livre ou não, ela certamente foi sórdida. A simonia que isso envolveu lançou dúvidas sobre a legitimidade do novo papa, Gregório VI. No ano seguinte, o imperador Henrique IIIdesceu até a Itália, vindo da Alemanha, e fez com que Bento IX e Gregório VI fossem depostos em um sínodo em Sutri, nos arredores de Roma.

Um terceiro requerente ao papado, Silvestre III, também foi condenado no sínodo. O imperador, revoltado com a situação romana, nomeou um alemão honesto como papa, Clemente II, um ato que acabou sendo o primeiro passo para resgatar o papado do atoleiro moral em que havia caído e que, portanto, foi o prelúdio imediato à Reforma Gregoriana.

O último papa na lista é Gregório XII (1406-1415). Sua renúncia efetivamente marcou o fim do Grande Cisma do Ocidente, aquele período da história da Igreja entre 1378 e 1415, quando dois, e depois três, homens alegavam ser o legítimo papa. Diante da insistência do rei alemão (mais tarde imperador) Sigismundo, o primeiro Papa João XXIII, um dos demandantes, com grande relutância, convocou um concílio em Constança para resolver o cisma. Uma vez que o concílio começou suas sessões, ficou claro para todo mundo que, para salvar o papado, a lista de candidatos devia ser limpada, o que significava a renúncia ou a deposição de todos os três requerentes. Com isso, João XXIII fugiu do concílio, na esperança de interrompê-lo. Ele teve a infelicidade, no entanto, de ser capturado e levado de volta para o concílio como um prisioneiro. Julgado e deposto, João XXIII, agora dividido em espírito, admitiu os erros que havia feito, confirmou a autoridade do concílio e renunciou formalmente a qualquer direito que ele poderia ter ao papado.

O segundo requerente, Bento XIII, recusou-se a reconhecer ou lidar com o concílio e, consequentemente, foi deposto por ele. Após a sua deposição e a eleição bem sucedida do novo papa, Martinho V, o apoio a Bento XIII evaporou, exceto por alguns cabeças-duras.

Restava o terceiro demandante, Gregório XII. Uma vez que João havia sido deposto, o concílio entrou em negociações com Gregório XII para tentar persuadi-lo a renunciar. A essa altura, Gregório XII tinha apenas um pequeno séquito, provavelmente viu os maus presságios e, para dar-lhe o benefício da dúvida, estava finalmente pronto para fazer o que podia para acabar com o cisma. Ele concordou em renunciar sob a condição de ser autorizado a convocar o concílio de novo, de modo a não conceder nenhuma legitimidade à convocação original do seu rival. No dia 4 de julho de 1415, o concílio ouviu a sua bula solenemente convocando-o e, depois, ouviu o anúncio da sua renúncia. Desde essa data, nenhum outro papa “renunciou” – até o dia 28 de fevereiro de 2013.

Resgate da memória do Espírito Santo. Leonardo Boff


Resgate da memória do Espírito Santo

03/03/2013

Num artigo anterior nos esforçamos por resgatar a dimensão do “espírito” vastamente afogada na cultura consumista e materialista da modernidade. Agora queremos resgatar a figura do Espírito Santo, sempre colocada à margem ou esquecida na Igreja latina. Como é uma Igreja de poder, convive mal com o carisma, próprio do Espírito Santo. Ele é a fantasia de Deus e o motor das transformações, tudo o que a velha instituição hierárquica não deseja. Mas Ele está voltando.

O Concílo Vaticano II afirma enfaticamente:”O Espírito de Deus dirige o curso da história com providência admirável, renova a face da Terra e está presente na evolução”(Gaudium et Spes,  26/281). Ele está sempre em ação. Mas aparece mais intensamente quando ocorrem rupturas instauradoras do novo. Quatro rupturas, próximas a nós, merecem ser mencionadas: a realização do Concílio Ecumênico do Vaticano Ii (1962-1965); a Conferência Episcopal dos bispos latino-americanos em Medellin (1969); o surgimento da Igreja da libertação; e a Renovação Carismática Católica.

Pelo Vaticano II (1962-1965)  a Igreja acertou seu passo com o mundo moderno e com suas liberdades. Especialmente estabeleceu um diálogo com a tecno-ciência, com o mundo do trabalho, com a secularização, com o ecumenismo, com as religiões  e com os direitos  humanos. O Espírito rejuvenesceu com ar novo a crepuscular instituição eclesiástica.

Em Medellin (1968) acertou o passo com o sub-mundo da pobreza e da miséria que caracterizava e ainda caracteriza o continentente latino-americano. Na força do Espírito, os pastores latinoamericanos fizeram uma opção pelos pobres e contra a pobreza e decidiram implementar uma prática pastoral que fosse de libertação integral: libertação não apenas de nossos pecados pessoais e coletivos, mas libertação do pecado da opressão, do empobrecimento das massas, da discriminação dos povos originários, do desprezo pelos afrodescententes e do pecado da dominação patriarcal dos homens sobre as mulheres desde o neolítico.

Desta prática nasceu a Igreja da libertação, a terceira irrupção. Ela mostra seu rosto pela apropriação da leitura da Bíblia pelo povo, por um novo modo de ser Igreja mediante  as comunidades eclesiais de base, as várias pastorais sociais (dos indígenas, dos afrodescentes,  da terra, da saúde, das crianças e outras) e de sua correspondente reflexão que é  a teologia da libertação. Esta Igreja da libertação criou cristãos engajados politicamente do lado dos oprimidos e contra as ditaduras militares, sofrendo perseguições, prisões, torturas e assassinatos. Talvez é uma das poucas Igrejas que pode contar com tantos mártires como a Irmã Doroty Stang e até bispos como Angelleli na Argentina e Oscar Arnulfo Romero em El Salvador.

A quarta irrupção  foi o surgimento da Renovação Carismática Católica a partir de 1967 nos USA e na América Latina  a partir dos anos 70 do século XX. Ela trouxe de volta a centralidade da oração, da espiritualidade, da vivência dos carismas. Criaram-se comunidades de oração, de cultivo dos dons do Espírito Santo e de assistência aos pobres e doentes. Esta renovação ajudou a superar  a rigidez da organização eclesiástica, a frieza das doutrinas e rompeu com o monopólio da palavra detida pelo clero, abrindo espaço para a voz  livre dos fiéis.

Estes quatro eventos só são bem avaliados teologicamente quando os colocarmos sob a ótica do Espírito Santo. Ele sempre irrompe na história e de forma inovadora na Igreja que então se faz geradora de esperança e de alegria de viver a fé. É o que esperamos agora com a eleição do  novo Papa. Que os cardeais deixem as disputas internas para criar espaço para o Espírito poder inspirar um nome de coragem e determinação para pôr fim aos escândalos de natureza sexual e financeira que desmoralizaram tão profundamente a hierarquia e envergonharam os fiéis.

Hoje vivemos talvez a maior crise da história da   humanidade. É um tempo invernal. Ela é a crise maior porque pode ser terminal. Com efeito, nos demos os instrumentos da auto-destruição. Construímos uma  máquina de morte que pode nos matar a todos e liquidar toda a nossa civilização, tão custosamente construída em milhares e milhares de anos de trabalho criativo. E junto conosco poderá perecer grande parte da biodiversidade. Se essa tragédia ocorrer, a Terra continuará sua trajetória, coberta de cadáveres, devastada e empobrecida,  mas sem nós.

Por esta razão, dizemos que com nossa tecnologia de morte inauguramos uma nova era geológica: o antropoceno. Quer dizer, o ser humano está se mostrando como o grande meteoro rasante ameaçador da vida. Ele pode preferir a autodestruição de si mesmo e a danificação perversa da Terra viva, de Gaia, do que mudar de estilo de vida, de relação para com a  natureza e  com a Mãe Terra.  Como outrora na Palestina, judeus preferiam Barrabás a Jesus. Os  atuais inimigos da vida poderão preferir  Herodes às crianças inocentes. Mostrar-se-ão de fato o Satã da Terra ao invés de serem o Anjo da Guarda da criação.

É nesse momento que invocamos, implorados e gritamos a oração litúrgica da festa de Penetcostes: “Veni, Sancte Spiritus, et emite coelitus, lucis tuae radium”: “vem Espírito Santo, envia do céu um raio de tua luz”.

Sem a volta do Espírito, corremos o risco de que a crise deixe de ser chance de acrisolamento e degenere numa tragédia sem retorno. Nas comunidades eclesiais se canta: “Vem, Espírito Santo e renova a face da Terra”.